foto da flickr – copyright minghtein
…E così tutte le mattine una di fila all’altra fino a nuovo ordine, se sono stato abbandonato sul comodino, sono pronto a salutare un nuovo giorno anche se non ho chiuso mai un occhio…
Io distinguo un attimo dall’altro: è il mio lavoro. Non so esattamente dove andrò oggi, so quello che farò e non è poco. Per tutta la giornata “sarò legato” al mio padrone, ma non per cattiveria: “mi hanno disegnato così e per fare questo”.
In verità io non mi fermo mai, piuttosto dico agli altri quando farlo. Loro però non sono mai d’accordo: o è troppo presto o è troppo tardi. Continuo a lavorare. Non mi controllano quasi mai, ma non per fiducia, perchè da me ci si aspetta che sia preciso e basta. Si sa che a volte vado un po’ a rilento, a volte invece troppo in fretta e qualcuno di tanto in tanto senza sentire le mie ragioni mi rimette in riga.
Per fare questo, “dentro alla mia bottega” e lontano da occhi indiscreti, anche se non si nota ognuno si da un gran da fare: C’è chi si occupa con la sua carica di dare forza a tutto il gruppo e c’è chi decide il ritmo del lavoro. Nessuno però sta a guardare e non importa se qualcuno – tra i miei colaboratori – fa le cose più in fretta di un’altro: per questo non farà più carriera, l’importante è che ognuno faccia ciò che sa fare. Qui sotto è forse l’unico esempio che funziona di “tutti per uno e uno per tutti”. Nessuno protesta.
Alla fine chi ha voglia di vedere il risultato del mio lavoro ripetitivo, complicato e monotono lo può fare con un rapido sguardo e, se si avvicina a me nella quiete, sentire persino il suono lieve e immutato che in solitudine emetto.
Io e il mio clan facciamo questo meccanicamente da quasi 700 anni.