Oggi imbattersi in un nuovo segnatempo con a bordo la rappresentazione delle ore vagabonde è un grande evento: eccone uno si chiama Arnold & Son Golden Wheel ed è un’anteprima del salone di Basilea 2015.
Cosa sono le ore vagabonde
Un’affissione delle ore vecchia quasi come il tempo meccanico. Nel 1656 Papa Alessandro VII commissionò ai fratelli Campani di costruire un prototipo di un orologio silenzioso. All’epoca Matteo, Pier Tommaso e Giuseppe erano i leader assoluti nel campo della fabbricazione di cannocchiali, microscopi, lenti, e grazie alla richiesta del Pontefice lo diventarono anche per questi particolari segnatempo.
Il Papa voleva un orologio che fosse visibile anche nelle tenebre e che mosso da uno scappamento speciale non fosse rumoroso.
L’intuizione dei Campani fu quella di usare al posto delle lancette dei dischi rotanti che marcando un semicerchio con la scala dei minuti incisa retroilluminata da una lampada a olio indicava l’ora corrente.
Questa affissione è anche chiamata “ore vagabonde” per la continua impermanenza della loro indicazione.
Come ci insegna la storia dell’orologio, con il tempo questa geniale modalità cui paternità è assolutamente italiana (brevetto concesso nel 1657 al 1659 sempre dal Papa e successivamente prolungato), si rimpicciolì migrando nei pendoli per arrivare finalmente ai nostri amati orologi da polso.
Per vedere le prime interpretazioni miniaturizzate di questa singolare affissione in orologi da tasca bisognò attendere sino agli inizi del XIX secolo opere di Breguet e dell’orologeria anglo sassone cui John Arnold (amico di Abraham-Louis Breguet) scrisse alcune tra le pagine più importanti di quel periodo.
Come spesso accade in Alta Orologeria, col tempo le ore vagabonde sono state interpretate con molte varianti. Solo per citarne alcune – ne sono splendidi esempi negli orologi da polso gli Audemars Piguet Star Wheel, la serie Horus di Vincent Calabrese e, in chiave moderna, l’orologeria proiettata in avanti di Felix Baumgardner e Martin Frei i volti che hanno dato vita a Urwerk.
Il Golden Wheel ricalca la parte più tradizionale della rappresentazione delle ore vagabonde. La sua ruota è simile a quella dello Star Wheel di Audemars Piguet, manifattura storicamente classica.
crediti
I Fratelli Campani da Castel San Felice (pdf) – link
True Beat i secondi morti secondo Arnold & Son
Non passò molto tempo dopo che l’uomo imparò a misurare il tempo meccanicamente che riuscì a rilevare anche i primi intervalli di tempo breve, i secondi appunto. La lancetta dei secondi apparve nei primi anni del 18° secolo. Sempre un orologiaio inglese, il celebre George Graham, realizzò nel 1720 uno strumento cui pendolo era in grado di dividere il secondo in quattro parti.
I secondi morti nacquero dall’esigenza di “fermare” o scomporre questa unità di tempo per meglio percepirla e quindi misurarla. Sono chiamati anche secondi indipendenti. Generalmente negli orologi da polso, a parte il mitico Slow Runner di Antoine Martin, causa le elevate frequenze per esprimere quel momentaneo “fermo immagine” della lancetta dei secondi ci vuole un treno di ingranaggi supplementare e indipendente.
Arnold & Son li chiama true beat o “secondi incrementali”. Per quanto in questo articolo non tratterò della visione meccanica unica e pregiata del marchio inglese, oggi Made in Swiss, di questo particolare, il comportamento e lo scopo è lo stesso dei secondi morti.
La migliore spiegazione di questi complicati secondi, così simili nelle movenze a quelli in un orologio al quarzo, l’ha scritta Michele Tonon in questo articolo.
Dalla Instrument Collection il Golden Wheel
Come il grande orologiaio cui ne perpetua il nome Arnold & Son è un marchio “meccanicamente” molto attivo: il Golden Wheel ovviamente riprende nel suo stile tridimensionale i segnatempo con ore vagabonde che venivano realizzati tra il XVIII e il XIX secolo in Inghilterra.
La tecnologia ideata e brevettata è visibile attraverso i tre dischi delle ore in zaffiro su cui sono ripartite le 12 ore. Il quadrante – nel vero senso del termine – è limitato a un arco in madreperla sopra il quale passando e girando su se stessi i tre dischi delle ore in zaffiro, oltre a mostrare l’ora corrente marcano i minuti grazie a delle minuscole frecce in oro rosso. È stato proprio auesto sistema centrale, che somiglia molto a quello di un carrousel, a ispirare il nome “Golden Wheel”.
Il resto del quadrante che è la porzione maggiore è formato da una piattina, sottoposta a trattamento NAC grigio e decorata a Côtes de Genève. Per finire i secondi true beat sono marcati da una grande lancetta centrale in oro su un altrettanto ampio anello distale posto sul quadrante.
Come ci ha abituato il marchio il Calibro, ampiamente messo in mostra, è progettato a strati per dare un marcato effetto tridimensionale, caratteristica tanto cara all’orologeria inglese e di Abraham-Louis Breguet di oltre un paio di secoli fa. Tutti gli elementi sono rifiniti secondo i più tradizionali canoni di Alta Orologeria: platine rifinite a perlage, ponti arrotondati con angoli smussati e lucidati a mano, Côtes de Genève rayonnantes, teste delle viti lucidate, viti azzurrate etc. Anche da questo punto non manca proprio nulla. La massa oscillante è scheletrata con superfici spazzolate al palladio.
Infine la cassa in oro rosso che con le sue dimensioni abbastanza XL per un orologio del genere, al solito la dice chiara sulle mire commerciali extra-europee di Arnold & Son.
Sarà costruito in edizione limitata di 125 pezzi. Tra le ore vagabonde e i secondi true beat che scattano, un pezzo che un malato di polso non deve lasciarsi scappare tra qualche mese al Salone, intendo tenendolo tra le mani rigorosamente con i guanti e sognando i fratelli Campani mentre mettevano a punto questa complicazione.
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