Perché diventare collezionista? E soprattutto perché aprire un museo? Cosa può accomunare il Sig. Philippe Stern a famosissimi collezionisti come W. Walters appassionato di opere d’arte o J. Ringling, capostipite del famosissimo circo americano, o ancora E. Drummond, che vanta la più vasta collezione di opere fiamminghe? Semplice: la passione per il bello che viene sublimata nel condividere i propri tesori con la società.
Nulla rende lo spirito angusto e geloso come l’abitudine di fare una collezione, diceva Stendhal, e il grande scrittore non sbagliava: il mondo del collezionismo è infatti paragonabile ad una fitta foresta dove è quasi piacevole smarrirsi perchè prima o poi, dopo tanto sospirare ed altrettanto girovagare, si ritrova sempre la via: il sentiero che in lontananza luminoso appare ha lo stesso fascino dell’oggetto che tante peripezie ha procurato ma che tanto emoziona colui che soltanto lo sfiora. Possiamo altresì paragonarlo ad una sorta di castello incantato dove ogni volta che si cerca l’uscita si sbaglia la via, ma allo stesso tempo si ritorna indietro più motivati e con un bagaglio culturale più consistente.
Curiosità intellettuale, perseveranza, spirito d’avventura e, perché no, azzardo sono i requisiti essenziali per diventare collezionista: la motivazione? Il culto del bello! A differenza dei collezionisti di oggetti senza valore dietro ai quali, secondo numerosi testi di psicologia sociale, si celerebbe solo egoismo e solitudine, l’animo dei “grandi” collezionisti (includendo anche filatelia e numismatica) si rivelerebbe estremamente altruista e sensibile: intendendo quest’ultima qualità non alla maniera di Oscar Wilde, secondo cui l’uomo sensibile era quello che se aveva i calli stava ben attento a pestare i piedi degli altri 🙂 , la sensibilità dei collezionisti, più dei veterani meno dei neofiti, sì estrinseca nel piacere, per così dire estatico, di condividere i propri “tesori” con gli altri. Ecco quindi mostre, musei ed eventi finalizzati ad una sorta di “godimento collettivo”, da dove si esce si con un’aria quasi “ebetea” (bocca aperta, occhi sgranati) ma senz’altro arricchiti di conoscenza e cultura: il cibo che nutre la mente dei collezionisti inebria con i suoi profumi l’intelletto della comunità!
Quando nel 1966 Alan Banbery, noto orologiaio ginevrino diventato poi esperto conoscitore degli orologi Patek Philippe, iniziò ad interessarsi degli archivi della Maison, racconta Phillippe Stern, trovò oltre ad alcuni pregiati schizzi una collezione di orologi della Casa: questa scoperta segnò l’inizio di un’avvincente avventura tra l’Europa e l’America fatta di continui viaggi tra fiere e case d’aste, alla continua ricerca di ogni tipo di materiale che potesse rivelarsi utile per far nascere la collezione, il tutto condito da tenacia, curiosità, passione.
Philippe Stern spiega come tutta la collezione sia nata per un bisogno di “contingenza e necessità”, quest’ultima soddisfatta appunto con la nascita del Museum. Inoltre, la sua forte personalità, nota per caparbietà e precisione, ben collimava con quella di Alan Banbery, accomunate dall’amore per gli orologi “complicati”. Stern e Banbery diedero così vita ad una collezione fatta di pezzi storici che rappresentavano e ricostruivano l’Arte Orologiera dal XVI secolo.
Ci vollero circa 40 anni di “fatiche” per realizzare questa strordinaria collezione ma, alla fine, la soddisfazione per il proprio operato era indescrivibile; l’ultimo passo, quasi come la classica ciliegina sulla torta, fu quello di trasformarla in un museo: splendide miniature su smalto, antiche macchine ed utensili da orologiaio, vecchi testi sull’Arte Orologiera sotto gli occhi ammirati della gente per nobilitarne gli animi.
Fatti non foste per vivere come bruti ma per seguir virtude e conoscenza, diceva Dante tanti secoli fa, e questo Philippe Stern lo ha compreso benissimo, realizzando uno dei più prestigiosi progetti educativi mai visti, dando ancora più lustro alla sofisticata Ginevra. Patek Philippe Museum.
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